29/07/2025
Un libro sincero
Recensione di Cesare Manganelli de Il voltagabbana di Davide Lajolo

Istituto per la storia della Resistenza della provincia di Alessandria
Qualche giorno fa ho potuto assistere alla presentazione della nuova edizione de Il [U1] voltagabbana*e del ritratto di Lajolo curato da Laurana Lajolo dal titolo Il filo rosso della poesia. Davide Lajolo 40 anni dopo nel fascicolo n. 41 della rivista “Culture”. Devo ammettere che la presentazione di Laurana Lajolo è stata così interessante e coinvolgente, eppure la conosco da molto tempo e dovrei essere vaccinato dal suo modo antiretorico di raccontare, che ho subito cominciato la lettura del libro di Davide Lajolo. L’avevo già letto circa quarant’anni fa quando ho potuto usufruire della biblioteca dell’Istituto Storico della Resistenza di Alessandria. Stavo cercando di colmare la mia lacuna relativa alle memorie di antifascisti e partigiani; allora c’era da leggere, in pieno disordine di lettura, Fidia Gambetti, Ada Gobetti, Zangrandi e molti volumi editi dall’editore “La Pietra” come Pesenti, Vidali, Terracini, Ferrero…
Anche allora, senza avvertirne la particolarità, il libro di Lajolo mi piacque molto, tanto che passai a Il vizio assurdo e a Fenoglio. Ebbi anche la fortuna di assistere alla presentazione del libro Il merlo di campagna ed il merlo di città del 1983. In quell’occasione Giorgio Canestri, direttore allora dell’ISRAL e fine letterato, si assunse il compito di una meditata presentazione del libro e dell’opera di Lajolo. Nella sua presentazione Canestri sottolineava la qualità letteraria e poetica di Lajolo e le sue ascendenze carducciane. Nel saggio introduttivo al fascicolo di culture Laurana Lajolo invece fa riferimento a Pascoli come modello poetico del padre Davide. Anche se poi è Ungaretti il suo vero motore stilistico come si vede senta tema di smentita per esempio nella poesia di guerra Ho avuto paura:
Ho avuto paura stamane / della pallottola che mi cercasse la vita / buttato /
a terra, nel fango / sugli sterpi della strada / soffrivo lo sguardo pietoso / del soldato/ rimasto in piedi a sparare / finché lo spirito / afferrata la carne / m’ha eretto / ad offrire il cuore / immune da mota.
C’è ben poco di eroico e baldanzoso in questa poesia di guerra nello stile e nel contenuto. Si combatte e non si scappa di fronte al pericolo mortale per i tuoi compagni, per gli altri soldati che sono come te; d’altronde oramai è accertato da tutta la letteratura militare questo, la solidarietà con i compagni, è il vero motivo della permanenza dei soldati al fronte. Senza quel legame, che infatti rimane indistruttibile nel tempo fra i sopravvissuti, sarebbe ovvio che ognuno di fronte al pericolo estremo girasse i tacchi e si allontanasse immediatamente in ogni modo ed in qualsiasi contesto il prima possibile. Ma per tornare al giudizio di Canestri sull’opera letteraria di Lajolo penso oggi che lui avesse intravisto il carattere di fondo della persona, non solo del poeta, del giornalista e del politico. E cioè quel tratto leonino, testardo ed orgoglioso che era di Carducci. Si parla di coraggio fisico, ma soprattutto morale, di esporsi per quel che si era, senza nascondersi, senza scuse e silenzi imbarazzati. Già dal titolo scelto Il voltagabbana si decise di non nascondersi dietro al paravento dei tempi, delle convenienze o dell’accettazione pragmatica. Ero fascista, credevo sinceramente che il fascismo avrebbe potuto essere il futuro dell’Italia e mi sono sbagliato. Ora, grazie ai miei compagni di lotta nella Resistenza e alla linea togliattiana del Partito Comunista Italiano, sono un comunista e, tranne dagli uomini di ferro degli anni trenta, non accetto lezioni. Non a caso nel corpo del libro la voce a contrasto è quella di Francesco Scotti, militante e dirigente comunista, che negli anni della guerra di Spagna era il suo nemico. E proprio Scotti gli consegnerà la tessera del Partito quando era divenuto un comandante partigiano. Ma se la poesia è la vera passione personale e molto sofferta di Lajolo, la franchezza e la visibilità sono la sua condanna. Ho trovato molto bella e chiara, e pure piena di comprensione, la lettera con cui Lajolo risponde ai rimproveri del padre di Bruno, commilitone ed amico morto in Spagna, nella quale si afferma che il fascismo in cui Davide e Bruno credevano allora non era una strada che avrebbero potuto intraprendere. Anche Bruno l’avrebbe visto e sarebbe stato uno di loro.
Un capitolo a parte riguarda la descrizione e la narrazione del mondo contadino e della sua famiglia di origine: se di poesia e di letteratura Lajolo fu capace certamente in quella parte c’è il meglio. La rapida pennellata su Vinchio con cui inizia Il voltagabbana, sei righe, è paragonabile al memorabile inizio dei I ventitré giorni di Alba Alba la presero in duemila il 10 ottobre e la persero in duecento il 2 novembre dell’anno 1944.
Non c’è altro da aggiungere, ora sappiamo com’è andata, chi c’era. Impariamo a conoscere fin da subito l’animo umano e la storia della Resistenza.
Il mio paese era tutto raggruppato sulla più alta collina del basso Monferrato. Un centinaio di case e non più che stanno in piedi perché da secoli si appoggiano l’una all’altra …
Il paese, la tua storia, è già tutto lì; Lajolo si è spogliato fin da subito di ogni altro paludamento. Figlio di contadini che lo amavano teneramente, ma che erano sopraffatti la lavoro e dalla miseria. Ho visto con i miei occhi la grandine del 1964 in Romagna, e la rabbia, la disperazione, di mia nonna che assisteva alla sua rovina definitiva, dopo essere rimasta vedova per la guerra. “Porca miseria” è una invettiva di cui Lajolo conosceva bene la profondità e la disperazione, e da quale parte dell’anima proveniva. Ma è proprio a Vinchio, novello Anteo, che ritrova gli amici e, forse, ritrova le sue radici e in una stalla giurano, un rito arcaico, ma piena di forza, di impegnarsi in una lotta disperata fino alla morte. Una guerra diversa, anch’essa feroce, nella quale il coraggio, la capacità militare e l’attitudine al comando dell’ex ufficiale emergono in modo definitivo.
Nell’ultima parte del libro gli eventi della Liberazione sono raccontati velocemente, di passaggio, senza enfasi. Viene subito chiamato dal Partito al giornale e comincia l’altra parte della sua biografia politica. Carriera politica che si interrompe nel 1975 quando pubblica Il memoriale di Smrkovsky su “ Giorni Vie Nuove”di cui è direttore.
Conviene per completare il percorso biografico, dopo la lettura de Il voltagabbana, prendere in mano il saggio di Laurana Lajolo che apre il fascicolo di “Culture”. Si tratta della rivisitazione dell’ intera vita del padre, puranche una memoria tenera, ma non indulgente.
La rilettura, o la prima lettura, del libro è un percorso nei momenti più drammatici e divisivi del Novecento italiano. Fare la strada con Davide Lajolo non ti permette di trovare scorciatoie, il poeta coraggioso non lo consente.
*La recensione si riferisce alla presentazione de Il voltagabbana, indetta dall’Istituto per la storia della Resistenza in provincia di Alessandria a Ottiglio (AL), 19 luglio 2025.