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La democrazia e la lunga strada dei diritti delle donne*

28/03/2020

La democrazia e la lunga strada dei diritti delle donne*

di Laurana Lajolo, dal "Quaderno di storia contemporanea", Istituto per la storia della resistenza in provincia di Alessandria, 2012

La prima volta del  voto delle donne

E’ il governo Bonomi, in piena guerra, con il decreto del 1 febbraio del 1945, a istituire il voto alle donne in Italia. Riguardo al provvedimento si sviluppa una discussione tra i partiti antifascisti componenti del governo, in particolare il Partito comunista e la Democrazia cristiana se ne fanno convinti propugnatori, nonostante le preoccupazioni radicate sull’affidabilità delle donne in politica e nonostante i dubbi, molto diffusi nella sinistra, che il voto femminile fosse condizionato dagli orientamenti della Chiesa.

Già prima, il 24 giugno 1944 il Luogotenente emana un decreto, in cui all’art.1 è previsto che la futura Assemblea per la Costituzione sia eletta a suffragio diretto e segreto.

Il decreto del voto è comunque limitato all’elettorato passivo: le donne possono votare, ma non essere elette, e il limite deve essere corretto in occasione delle elezioni amministrative del 1946.

Quelle elezioni, le prime avvenute in Italia dopo che la dittatura fascista aveva sostituito i consigli comunali eletti con la nomina del podestà, vengono espletate tra il marzo e l’ottobre del 1946, a seconda di quando le singole amministrazioni sono in grado di organizzare le votazioni.

Nelle elezioni dei Comuni le donne elette risultano complessivamente 200 (in Piemonte la percentuale delle elette è del 3,32%). Vengono candidate soprattutto le donne che hanno un’esperienza diretta nell’antifascismo e nella Resistenza che assumono l’impegno elettivo come un dovere e anche come un riconoscimento dell’attività politica svolta. Nessuna di loro diventa sindaco e pochissime raggiungono ruoli di responsabilità. Sono in genere assessori all’assistenza, qualcuna arriva a ricoprire il mandato dell’istruzione, rimanendo, quindi, vincolate a svolgere funzioni molto legate al ruoli tradizionali delle donne, per cui la rappresentanza politica femminile risulta, in sostanza, un’estensione nelle istituzioni comunali dei compiti svolti da sempre.

Nel primo periodo del dopoguerra e anche successivamente, le organizzazioni delle donne, dall’UDI (di sinistra) al CIF (di ispirazione cattolica), assumono un ruolo attivo soprattutto nell’assistenza agli orfani, ai reduci, alle vedove, supplendo alle carenze delle strutture pubbliche.

Contestualmente alle attività sociali, quelle organizzazioni assolvono all’importante compito, che si può definire pedagogico all’inizio della democrazia repubblicana, di avvicinamento delle elettrici alla politica, in un’azione collaterale ai partiti di massa.

Molto alta è l’affluenza alle urne per il primo fondamentale appuntamento di suffragio veramente universale in Italia:  l’elezione dell’Assemblea Costituente e il referendum istituzionale del 2 giugno 1946. L’89% degli elettori depone il proprio voto e tra questi la partecipazione delle donne è davvero massiccia, smentendo coloro che prevedevano l’indifferenza femminile per il voto.

Le candidate all’Assemblea sono 226, ma soltanto 21 risultano elette su 555 componenti complessivi, tutte nei due maggiori partiti di massa: 9 nel P.C.I. e 9 nella D.C.. Nessuna donna assume responsabilità specifiche.

E va detto che le cose non migliorano con le elezioni politiche successive se nel 1948 le elette risultano 41, nel 1953 sono 36 per scendere a 17 nel 1968 e poi risalire a 51 nel 1976. E anche nell’attuale Parlamento le donne elette sono soltanto 111 alla Camera (il 17% degli eletti) e 42 al Senato (il 13,33%) più una senatrice a vita.

Qualche eletta nell’Assemblea Costituente entra a far parte della Commissione dei 75, incaricata di scrivere la Carta fondamentale della repubblica, riuscendo a stabilire relazioni trasversali e intese, nonostante le separazioni ideologiche, in merito agli articoli della Costituzione repubblicana che riguardano specificamente il principio della parità di tutti i cittadini e quindi portando una sensibilità femminile nel campo del riconoscimento dei diritti democratici.

* Il testo è stato pubblicato sul n. 43/2008 di “Quaderno di storia contemporanea” Isral

Gli articoli più interessanti sono l’art. 3, che sancisce l’uguaglianza di fronte alla legge, in cui diventa essenziale l’intervento della socialista Lina Merlin, che ottiene di aggiungere nel testo il riferimento alla discriminazione di tipo sessuale; l’art. 29 sulla famiglia; l’art. 37 sulla parità nel lavoro; l’art. 48 sui diritti politici; l’art. 51 riguardo all’accesso ai pubblici uffici. Sempre nel 1948 anche l’O.N.U. sancisce la condanna di ogni discriminazione fondata sulla differenza di sesso.

Il dibattito e il confronto tra le forze politiche sulla formulazione degli articoli della Costituzione rimane ovviamente nel chiuso delle aule di Montecitorio, ma i partiti di massa e le associazioni femminili svolgono un ruolo particolarmente rilevante nel far emergere nuove istanze di emancipazione delle donne.

 

L’obiettivo fondamentale dell’emancipazione

L’Unione Donne Italiane (composta da comuniste e socialiste e fondata nel 1944 come diretta prosecuzione dei Gruppi femminili di difesa della donna operanti durante la Resistenza), si impegna nell’affermare il principio dell’emancipazione della condizione femminile soprattutto attraverso il lavoro e la partecipazione politica. E’ questo un impulso notevolmente innovatore in un paese fortemente agricolo e conservatore e in cui il fascismo, con una salda alleanza con la Chiesa, ha continuato a relegare la donna in una condizione subordinata a livello famigliare e sociale.

Così, nei primi anni della democrazia, si forma faticosamente una coscienza politica femminile anche negli strati popolari, sorretta dalle donne politicamente formate durante la Resistenza antifascista e armata, e ora attive nel rivendicare pari diritti con l’uomo soprattutto nell’accesso al lavoro. Le giovani donne, pur ancora educate al ruolo tradizionale nell’ambito della famiglia, cominciano a voler ricercare una nuova affermazione sociale. E così, nonostante le poche donne elette, in alcune aree del paese risulta vasto il sostegno sociale alle lotte di cambiamento.

Le stesse organizzazioni sindacali, interamente maschili nella composizione dei vertici, hanno militanti donne nelle categorie più connotate dal lavoro femminile, che iniziano a rivendicare diritti fino ad allora totalmente disconosciuti: l’orario di lavoro, la retribuzione, l’assistenza sanitaria, il diritto alla maternità, ecc.. La rivista “Noi donne” dell’UDI e la pagina settimanale della donna sul quotidiano comunista ”L’Unità” sono strumenti di diffusione dei temi di emancipazione ed affrontano anche  alcune questioni specifiche del privato femminile.

L’associazionismo cattolico, organicamente collaterale alla Democrazia cristiana e molto rilevante nell’organizzazione del consenso, tesse una rete sociale molto fitta in diversi ambienti sociali. Le donne sono considerate cardine della famiglia e della comunità e un baluardo della tradizione contro le idee socialiste e comuniste. Scarsa è la rappresentanza politica nel partito di maggioranza, ma diffusa e incisiva sui temi sociali è la partecipazione all’associazionismo femminile anche nelle campagne.


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