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Appunti per una storia sociale dell’educazione

29/03/2020

Appunti per una storia sociale dell’educazione

di Laurana Lajolo, dal "Quaderno di storia contemporanea", Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea in provincia di Alessandria, n. 53, 2013

 Il programma Washburne, 1945

Subito dopo la Liberazione, essendo necessario un profondo rinnovamento del sistema educativo italiano fortemente condizionato dal regime fascista e il pedagogista Carleton Whasburne in Italia con l’esercito USA, allievo del padre dell’attivismo John Dewey e fondatore della Scuola Winnetka di Chicago, traccia le linee per i nuovi programmi nazionali per la scuola elementare e l’Istituto Magistrale. Il principio ispiratore è che le strategie della ripresa, dopo la rovinosa guerra mondiale, dipendano da una riforma dell’istruzione capace di produrre un radicale mutamento sociale in Italia per liberare il Paese dall’influenza fascista. Si affida, dunque alla scuola, un compito civile e politico molto importante e si stabilisce il principio educativo di interconnessione tra scuola e società secondo i seguenti principi fondamentali: la scuola deve rispondere ai bisogni conoscitivi e affettivi degli alunni, deve sviluppare gli interessi e le attitudini dei bambini, tutti devono imparare a leggere a e a scrivere e immedesimarsi negli interessi della comunità.

Nel 1945 sono incaricati due studiosi di formazione umanistica Adolfo Omodeo e Guido De Ruggiero di rivedere i programmi delle elementari al fine di elevare l’alfabetizzazione di base e formare il futuro cittadino-lavoratore.

L’Italia, agli albori della sua democrazia, deve infatti affrontare la grave questione dell’analfabetismo. Il primo censimento del 1862, al momento dell’Unità d’Italia, registra 14 milioni di italiani analfabeti  e ancora nella seconda guerra mondiale circa il 20% dei cittadini risultava analfabeta, con punte molte alte nel Mezzogiorno.

I programmi del ’45 si preoccupano essenzialmente di sostituire i principi autoritari, nazionalistici e propagandistici della dittatura fascista con i principi liberali della libertà di insegnamento, del pacifismo e della cooperazione tra le nazioni, ispirandosi alle indicazioni dell’attivismo americano. Si pensa alla scuola come comunità educante, capace di promuovere, anche con supporti psicologici, i bisogni concreti e reali dell’infanzia.

Ma il processo di rinnovamento trova ostacoli molto forti nell’apparato burocratico ministeriale e da parte di molti docenti formati nel periodo fascista e non allontanati dai loro incarichi.

 

La Costituzione e la formazione della coscienza democratica

L’Assemblea Costituente rivolge uno sguardo attento alla scuola e nel 1946 pubblica un opuscolo intitolato Il problema della scuola, in cui sono esposti i concetti basilari della riforma del sistema educativo degno della nuova società democratica.

Uno dei punti su cui il documento pone l’accento è l’educazione civile: “Il problema sociale si pone oggi in Italia in termine di democrazia, di una democrazia alla quale siamo interessati e della quale siano compartecipi tutti gli strati sociali e tutte le classi del popolo. Ma parlare di una democrazia così largamente intesa, in un paese che esce da più di vent’anni di fascismo, significa parlare nel tempo stesso di formazione di una coscienza democratica. O se vogliamo di una coscienza civile, della capacità cioè del singolo cittadino di agire come membro di un ceppo sociale, al cui benessere egli, insieme a tutti gli altri cittadini, deve contribuire. (...)

Perchè ciò possa verificarsi è necessario evidentemente che la direzione della cosa pubblica non interessi esclusivamente determinati gruppi o strati, ma sia l’espressione degli interessi di tutto il popolo, degli interessi nazionali. (...) Da qui deriva la necessità di educare tutti i cittadini e di formare in tutti i cittadini il più elevato grado possibile di coscienza civile e di capacità intellettuali”.

Quindi è ben chiaro ai Costituenti che è compito della scuola educare alla coscienza civile del popolo. La Carta Costituzionale afferma nell’art. 34 l’obbligo scolastico fino a 14 anni: “La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie e altre provvidenza, che devono essere attribuite per concorso”.

Questo articolo così significativo per la società italiana discende direttamente dal principio fondamentale sull’eguaglianza di tutti i cittadini sancita dall’art. 3 della Costituzione: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.

Ma l’ostruzionismo politico a tutta la parte più innovativa della Costituzione, messo in atto negli anni Quaranta e Cinquanta, ha come conseguenza che per un lungo periodo la Costituzione non entri nella scuola e sia ignorata dagli insegnanti e dagli studenti, mentre il sistema scolastico rimane ancorato al passato, senza riforme significative.

D’altro canto la Chiesa, che ha sempre avuto l’esclusiva dell’educazione popolare, è convinta che l’educazione religiosa cattolica sia sufficiente a orientare la condotta dell’uomo anche nei comportamenti sociali e politici. E, nonostante le affermazioni della Costituzione che la scuola privata non deve avere oneri per lo Stato le istituzioni educative religiose continuano a fruire di benefici e ampliano la loro influenza anche sul sistema universitario con la fondazione da parte di Padre Agostino Gemelli  dell’Università cattolica a Roma.

 

Anni cinquanta: il controllo della D.C.

A partire dal governo De Gasperi il partito di maggioranza relativa della Democrazia Cristiana detiene ininterrottamente per più di un ventennio il Ministero della Pubblica Istruzione. Il ministro Guido Gonella, applicando il Concordato del 1929 tra Stato e Chiesa riconosciuto nell’art. 7 della Costituzione, introduce la religione cattolica obbligatoria in ogni ordine di scuola, mentre nel 1947, con il decreto del capo provvisorio dello Stato (12 maggio), vengono indicate le linee di una riforma generale della scuola, che, però, non  diventano mai operative.

Nel 1950 vengono istituiti per decreto gli Istituti Professionali Statali nei settori dell’industria, agricoltura,  artigianato e dei servizi con durata biennale o triennale, senza la qualifica di scuola superiore. Nel 1956 confluiscono nei nuovi istituti tecnici femminili le scuole professionali e di magistero per la donna.

Nel 1951 il ministro Gonella conferma i Centri di didattica nazionale, istituiti dal ministro fascista Bottai nel 1942 e,  sempre in quell’anno, presenta un disegno di legge di riforma dell’ordinamento scolastico, che non riesce a concludere l’iter parlamentare.

In quegli anni si apre un aperto conflitto tra cattolici e laici, che si prolunga fino agli anni Sessanta e si costituisce l’Associazione per la difesa della scuola statale, voluta da eminenti docenti universitari come Ernesto Codignola, Guido De Ruggiero, Luigi Russo e Antonio Banfi.

 

La riforma della scuola elementare del 1955

Il Ministero della Pubblica Istruzione assume le teorie del personalismo cattolico, elaborate dal pensatore  neotomista Jacques Maritain. Maritain è fortemente critico verso il razionalismo dell’io pensante e le spinte creative e spontanee del bambino e rifiuta l’attivismo, convinto che gli impulsi naturali vadano contenuti e sopravanzati dall’educazione spirituale. Mette, quindi, al centro del processo educativo il concetto del bambino come “persona” spirituale da educare con il messaggio cristiano. Luigi Stefanini, esponente del personalismo cattolico, viene incaricato di stendere i programmi per la scuola elementare del 1955, che spostano il baricentro della scuola dalla sfera intellettuale a quella etico-sociale e affettiva. Il legislatore è più interessato all’educazione ai valori che ai processi conoscitivi e alla formazione propriamente culturale degli allievi. Il metodo proposto è quello globale, che considera il bambino tutto sentimento e fantasia, mentre la religione cattolica è considerata come fondamento e coronamento dell’istruzione primaria.
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