Associazione Davide Lajolo Onlus

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Festival del Paesaggio Agrario 2020 XII edizione

dal 12 OTTOBRE al 6 NOVEMBRE 2020 - Relazione finale - 12/11/2020

Festival del Paesaggio Agrario 2020 XII edizione

Lo sviluppo delle comunità rurali

“Un paese ci vuole per non essere soli”
(Cesare Pavese)

 

SCHEDA RIASSUNTIVA
A cura di Laurana Lajolo

Il Festival del paesaggio agrario, nel  corso delle sue dodici edizioni, è stato un osservatorio attento e partecipe delle condizioni economiche e sociali dell’agricoltura e delle conseguenti  modificazioni del paesaggio volendo essere un laboratorio di proposte. L’edizione del 2020 dal titolo “Lo sviluppo delle comunità rurali”  (9 ottobre-6 novembre 2020), articolata in cinque incontri condotti da studiosi, esperti, amministratori, produttori, ha voluto puntare l’attenzione  sulle problematiche dei piccoli paesi del Monferrato, dove si è potenziata la produzione di vini di alta gamma, rinnovando la tradizionale sapienza contadina con la ricerca scientifica e la tecnologia, ma dove mancano molti servizi necessari. 

Il sottotitolo del Festival: “Un paese ci vuole per non essere soli”, come scrive Cesare Pavese nel romanzo “La luna e i falò”,  è un richiamo a una tradizione di solidarietà delle comunità contadine, nel momento in cui  la pandemia impone un ripensamento della dimensione delle città metropolitana, dell’organizzazione del lavoro e delle abitudini di vita con nuove esigenze abitative e nuovi orientamenti economici rispettosi dell’ambiente. I paesi, in cui ovviamente sono stati introdotti modelli di vita urbani, mantengono comunque modi di convivenza, che possono aiutare a ricomporre la quotidianità. 

Le colline del  Monferrato (il Mons ferax dei Romani), emerse milioni di anni con la forma delle onde del mare,  sono state modellate nel tempo dal sapiente lavoro contadino tradizionale come un’opera d’arte collettiva, costellata di vigne e di villaggi rurali, che costituiscono un paesaggio armonico nella relazione tra uomo e natura. Il paesaggio vitivinicolo del Monferrato è stato valorizzato con il riconoscimento nel 2014 come patrimonio dell’umanità UNESCO e oggi i produttori sono consapevoli che il paesaggio della vigna è un valore aggiunto al prodotto vino. 

I cinque incontri del Festival hanno, dunque, preso in esame il Monferrato, che abbraccia le due province di Asti (1510 km2 e 118 comuni) e Alessandria (3500 km2 e 187 comuni). I due capoluoghi non raggiungono i 100.000 abitanti e sono meno di dieci le città nelle due province che superano i diecimila abitanti. Quindi i piccoli comuni (molti al di sotto dei 1000 abitanti) rappresentano circa il 10% degli abitanti, ma hanno la gestione di circa il 40% delle superfici provinciali in gran parte rurali. Dopo l’avvenuta deindustrializzazione iniziata negli anni ’80, è la viticoltura e la produzione vinicola il settore più dinamico del territorio.

Il Monferrato, a differenza dalla monocultura viticola delle Langhe, ha ancora una presenza estesa di boschi  e  di biodiversità, ma è una terra  vulnerabile perché soggetta ad alluvioni in pianura e a fenomeni franosi in collina, che va tutelata e protetta anche dagli effetti dei cambiamenti climatici che sta subendo la viticoltura. Per l’aumento delle temperature le vigne stanno perdendo in produttività e si stanno modificando le caratteristiche qualitative dei vini, mentre i tempi di vendemmia sono sempre più anticipati.  Se non si provvede  con interventi locali mirati nel giro di pochi anni i vigneti dovranno essere impiantati più in alto per sfuggire all’eccessiva insolazione. E’ un problema economico non soltanto delle imprese agricole perché lo stesso assetto territoriale del Monferrato verrebbe a perdere  la sua caratterizzazione identitaria riconosciuta dall’UNESCO e la sua ricchezza secolare rappresentata dalle vigne .

Accanto agli agricoltori sono i sindaci dei piccoli comuni i primi presidi del territorio e del paesaggio, ma la sottovalutazione politica ed amministrativa delle loro funzioni rendono oggi molto difficile il loro compito. I piccoli comuni sono considerati marginali, mentre il necessario ripensamento del modello di sviluppo, imposto dalla pandemia, potrebbe aprire nuove opzioni di sviluppo anche abitativo, se fossero dotati di adeguati servizi e infrastrutture digitali. Il Monferrato è, infatti, in una posizione baricentrica tra Milano, Torino, Genova.

I piccoli paesi, pur avendo assunto i modelli urbani, mantengono comunque una propria identità e possono avere nuove opzioni di sviluppo con la riqualificazione dei servizi e del tessuto urbanistico recuperando molte case vuote e valorizzando sempre più la produzione agricola d’eccellenza e la difesa della biodiversità del paesaggio. Ma per costruire questo futuro è necessaria una programmazione di strategia territoriale condivisa tra i comuni, coordinata dalle province, se riattivate nelle funzioni e nei finanziamenti.

L’anteprima del festival Paesaggio è  arte, una mostra all’aperto di sculture collocate accanto ai “casotti” piccoli edifici rurali tra i filari, che, come scrive Cesare Pavese,  “appaiono come cortine  semplici e profonde come una porta magica che si incide nel cielo”.

La passeggiata, seguendo le opere d’arte, si è svolta alla fine di agosto a Vinchio, il “nido” dello scrittore Davide Lajolo, che ha riconosciuto come ispiratrici le sue radici ancestrali: “Vinchio è stato il mio nido, ci sono nato nella stagione del grano biondo: Questa mia terra è come una bella donna che mi piace tanto che sento mia e che nessuno può portarmi via”.


Leggi i resoconti dei vari incontri

 

 


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PRIMO INCONTRO, 9 OTTOBRE:
“Ri-leggere e ri-abitare il paesaggio”

a cura dell’Ordine degli Architetti P.P.C. della Provincia di Asti.

L’incontro è stato introdotto dagli organizzatori Laurana Lajolo, presidente dell’Associazione Culturale Davide Lajolo, e Roberto Cerrato, direttore dell’Associazione Paesaggi vitivinicoli Langhe-Roero e Monferrato, che hanno illustrato la proposta del Festival per lo sviluppo sociale e economico dei paesi del Monferrato. Nella dichiarazione di Patrimonio dell’Umanità, infatti, viene registrato che il paesaggio vitivinicolo, così armonico e portatore di antichi saperi intrecciati con l’innovazione, si caratterizza per la presenza di villaggi sulla cima delle colline, castelli, chiese romaniche, cascinali, ciabot, cantine, stabilimenti vinicoli, che arricchiscono la qualità del paesaggio agricolo. Anche il Piano di Sviluppo Rurale dell’Unione Europea 2021-2026 prevede una specifica misura per promuovere lo sviluppo delle comunità rurali.

Ma, come ha sottolineato il presidente dell’Associazione Paesaggi vitivinicoli, Gianfranco Comaschi i piccoli paesi attraversano attualmente una fase difficile, perché rischiano lo svuotamento e la perdita di servizi essenziali pur essendo tasselli fondamentali per la gestione del territorio e componenti indispensabili per la qualità e l’armonia del paesaggio. Ha espresso fiducia sul sostegno e sui contributi della Regione Piemonte per sostenere il territorio Patrimonio dell’Umanità.

Il tema è stato ripreso al presidente della Provincia di Asti Paolo Lanfranco che ha interpretato il significato denso di comunità come cardine della socialità e dell’economia, e ha tenuto a sottolineare le differenze territoriali  e produttive tra zona Nord e zona Sud del Monferrato astigiano, che hanno bisogno di criteri di valutazione diversi. Ha, quindi, sottolineato la necessità di potenziareil ruolo della Provincia per affrontare problematiche complesse con strumenti di pianificazione di area vasta: gli enti locali troppo piccoli, infatti, non sono in grado di affrontare la pianificazione infrastrutturale e paesaggistica del proprio territorio, e non può che essere la Provincia l’istituzione adeguata per organizzare funzioni e servizi in rete per tali territori. Lanfranco ha, dunque, anticipato alcuni degli argomenti che saranno discussi nell’incontro del 17 ottobre sul tema “I servizi per lo sviluppo sociale ed economico dei paesi”.

Introducendo gli interventi più tecnici della giornata di lavoro, l’architetto Marco Pesce ha ricordato il contributo fornito dall’Ordine provinciale negli anni, attraverso numerose iniziative che si sono succedute tra le quali le tre edizioni di A.S.T.I. FEST – Festival dell’Architettura Astigiano, alla diffusione di idee e buone pratiche sui temi dell’ambiente, della tutela, della cura e della valorizzazione del territorio e del paesaggio, nonché alla proposta di strategie urbanistiche e paesaggistiche volte a restituire alla città di Asti il suo antico ruolo baricentrico, di capoluogo di un territorio rurale associabile all’intera Provincia. Quello tra Asti e i paesi e i borghi della Provincia è un legame storico importantissimo che negli anni si è via via attenuato, fino ad diventare quasi assente ai giorni nostri: tale fenomeno si traduce in percorsi che si recidono, reti che si sfilacciano, memorie che si perdono.

In questo quadro, ha aggiunto Pesce, diventa essenziale il ruolo dei cittadini, dei professionisti, delle comunità, dei vari soggetti che in qualche modo operano sul territorio per elaborare e concretizzare percorsi e processi di salvaguardia, valorizzazione e riuso degli immobili e dei territori, nonché per pensare ad innovative modalità di finanziamento per attuare progetti proposti dal basso riguardanti aree vaste, reti, interi brani di territorio.

Lo sguardo dell’uomo ha trasformato il territorio in paesaggio, ha chiosato l’arch. Pesce, anzi in una rete di molteplici paesaggi sovrapposti ed interconnessi tra loro, ed è proprio questa complessa rete l’ambito di intervento dell’attività di pianificazione di area vasta. Perché vi sia paesaggio è necessario che vi sia uno spettatore e con l’ingresso nella World Heritage List il mondo intero è diventato lo spettatore delle nostre colline.

Questa riflessione è stata ripresa dall’arch. Fabrizio Aimar: il paesaggio plasmato dall’uomo si fa cultura e si modifica a contatto con le varie culture che si avvicendano e che lo vivono; una relazione virtuosa tra la conservazione della memoria storica ed i processi produttivi e turistici attuali è necessaria perché il territorio continui a vivere. Con questa consapevolezza si può tentare di favorire la resilienza dei territori, ovvero la loro capacità di riprendersi a seguito di alterazioni, siano esse di natura economica, sociale o ambientale, come accade ad esempio i cambiamenti climatici, che incidono anche sulle produzioni agricole vitivinicole. Aimar ha sottolineato, infatti, la rilevante criticità delle conseguenze di rottura dell’equilibrio climatico sul paesaggio e sull’organizzazione delle comunità.

Alla domanda di Pesce sull’applicazione delle linee guida di tutela dell’UNESCO da parte dei progettisti, Aimar ha riconosciuto una maggiore sensibilità e consapevolezza della popolazione e degli attori economici, ma ha rilevato che manca ancora un coordinamento degli interventi dei Comuni, ancora troppo difformi tra loro.

L’arch. Daniela Ciaffi, docente del Politecnico di Torino e vicepresidente nazionale di LABSUS, ha illustrato le finalità del Laboratorio per la Sussidiarietà: si tratta di un’organizzazione che si è fatta promotrice, a livello nazionale ed internazionale, della diffusione del principio della sussidiarietà orizzontale, contenuto nell’art. 118 della Costituzione, il quale prevede che “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”.

Le persone sono portatrici non solo di bisogni ma anche di capacità, ed è possibile che queste capacità possano essere messe a disposizione della comunità per contribuire a dare soluzione, insieme con le amministrazioni pubbliche, ai problemi di interesse generale.

Sono più di 220 i Comuni italiani, grandi e piccoli che hanno adottato un Regolamento per l’amministrazione condivisa dei beni comuni, strumento essenziale per la stipula dei Patti di collaborazione tra cittadini attivi, imprenditori ed istituzioni.

Lo scopo è di riconoscere il diritto di partecipazione dei cittadini singoli o associati alla gestione del territorio, principio già recepito dalla Regione Lazio con la legge sull’amministrazione condivisa. Questo significa che le amministrazioni si mettono al servizio dei cittadini nel lavoro di co-progettazione e co-programmazione.

Labsus organizza anche scambi con gruppi stranieri e Ciaffi ha mostrato un video della visita di professionisti francesi alle due realtà di Condove e Bologna, visibile sul sito www.labsus.org .

L’arch. Cristina Coscia, vicepresidente dell’Ordine degli Architetti P.P.C. della provincia di Torino, ha quindi illustrato il progettoBottom Up!”(www.bottomuptorino.it), il festival di architettura di Torino organizzato dall’Ordine degli Architetti e dalla Fondazione per l’Architettura / Torino con l’obiettivo di favorire pratiche di trasformazione urbana dal basso, partendo dalle idee della comunità che possono realizzarsi con crowdfunding e con strumenti comunicativi. Sono stati selezionati dodici progetti (visibili sul sito), nei quali molteplici soggetti soggetti entrano in collaborazione tra loro per la realizzazione del progetto. Coscia ha evidenziato come nelle città non ci sia più soltanto il centro storico, ma multicentralità che vanno considerate: la centralità viene infatti creata dalla memoria, dall’esperienza e dall’espressione dei cittadini, un sistema di valori, il quasi dimenticato “genius loci”, che deve essere narrato e compreso per poter dare forma a nuovi brand identity del luogo. Se si parte da questa premessa si possono rilevare i bisogni trasmessi dai luoghi dei quali i cittadini si rendono consapevoli. Il punto di partenza è una “scintilla”, cioè il desiderio di trasformare e migliorare la comunità, forza in grado di aggregare molti cittadini per accompagnare e portare a buon fine il processo di crowdfunding. Il Comune di Torino ha aperto uno sportello apposito per questo servizio.

Per la scelta dei dodici progetti sono stati utilizzati come prerequisiti il ruolo centrale dell’architetto come mediatore tra i bisogni dei fruitori e la realizzazione del progetto, la sostenibilità del progetto per migliorare la qualità della vita anche sulla base dell’economia circolare, la capacità di auto-organizzazione dei cittadini, il rapporto tra pubblico e privato, le risorse economiche e la redditivitàdell’intervento, la committenza di più soggetti collegati, l’uso delle tecnologie e dell’innovazione.

L’ing. Marco Valle della società LINKS, che ha seguito la candidatura UNESCO delle colline di Langhe, Roero e Monferrato, è stato incaricato dalla Provincia di Asti per aggiornare il Piano Territoriale Provinciale. Valle ha ripreso il tema delle criticità dovute ai cambiamenti climatici per delineare la necessità di nuovi orientamenti per la gestione del territorio, individuando come filo rosso per la pianificazione il ruolo delle comunità. Infatti il principio del suo lavoro per il P.T.P. è la partecipazione delle comunità locali, attraverso questionari e consultazioni pensate per far emergere le varie problematiche, anche quelle derivati dalla pandemia. Si è realizzata una mappa degli immobili vuoti e si sta procedendo all’analisiterritoriale GISdi rilievo e modellazione di dettaglio del territorio e del paesaggio ai fini della successiva progettazione. Questo lavoro di analisi preliminare risulta importante per definire i caratteri identitari del territorio, definiti dalla produzione agricola e dai borghi secondo l’assunto del riconoscimento UNESCO. La finalità della revisione del Piano è quella della riqualificazione dell’esistente, della manutenzione e caratterizzazione del territorio, del miglioramento della qualità dei servizi, così da salvaguardare il paesaggio vivente.

Il Vicesindaco di Asti e assessore all’Urbanistica Marcello Coppo ha criticato la burocratizzazione delle decisioni e dei progetti, e ha annunciato che il Comune di Asti, intendendo sveltire le procedure come ha già fatto per i provvedimenti sugli oneri di urbanizzazione, sta lavorando a modifiche delle norme di attuazione del Piano Regolatore Generale prevedendo regole di applicabilità veloce per favorire l’iniziativa privata nell’ottica della rigenerazione urbana.

 

 


SECONDO INCONTRO,  17 Ottobre,
“I servizi per lo sviluppo sociale e economico dei paesi”

Asti Palazzo Della Provincia

La XII edizione del Festival del paesaggio agrario ha come tema lo sviluppo delle comunità rurali, prendendo spunto dai seguenti obiettivi del Piano di sviluppo rurale 2021-2026 dell’Unione Europea:
1) rafforzare il tessuto socioeconomico delle aree rurali: giovani, bio-economia, inclusione sociale;
2) tutela dell’ambiente e azione per il clima; 3) sicurezza alimentare, ricerca, tecnologia e digitalizzazione. Quindi l’incontro sui servizi necessari dei paesi del 17 ottobre risulta centrale per la definizione di una linea di lettura dell’attuale situazione sociale ed economica del territorio.
I piccoli comuni con meno di 1000 abitanti in Italia sono circa 2000 e governano 1,3% del territorio, in Piemonte sono circa 600 su 1200 totali della Regione, rappresentano il 7% della popolazione ma governano il 41% della superficie del territorio regionale. Il 15% dei piccoli comuni quindi è in Piemonte, un terzo dei piccoli comuni italiani, una realtà da considerare da parte della  Regione e dello Stato.
I sindaci dei piccoli comuni hanno  grandi responsabilità di monitoraggio e di governo del territorio, indispensabile per la tutela del territorio e del paesaggio. Ma con lo spopolamento iniziato dagli anni Trenta del secolo scorso e la sottovalutazione politica ed amministrativa delle loro funzioni rende molto difficile il loro compito.

La tavola rotonda, coordinata da Beppe Rovera e Laurana Lajolo, è stato aperta dalla proiezione del video Davide Lajolo “Vinchio è il mio nido.
Il primo intervento è stato del presidente della Provincia di Asti Paolo Lanfranco, che ha ricordato come il territorio sia formato da piccole comunità, che avrebbero bisogno di un’istituzione di area vasta in grado di programmare e dare corso a finanziamenti ai piccoli comuni. Il presidente si è detto contrario alla fusione di Comuni, ciascuno dei quali ha una propria identità che va salvaguardata, ma ha auspicato che le Province siano riattivate nelle loro funzioni con relativi finanziamenti così da svolgere efficacemente il coordinamento tra gli enti locali. A questo proposito sarebbe anche utile ritornare alle elezioni dirette egli amministratori provinciali per dare maggiore rappresentatività.
Attualmente, con la pandemia, alle Province è stata affidata la cabina di regia per le RSA, da considerare non solo poli assistenziali ma anche sanitari, ma l’ente è privo di effettivi poteri di gestione.
Lanfranco ha quindi posto l’accento sulla divisione del territorio provinciale in due zone quella del Nord Astigiano in una fase difficile e quella del Sud beneficiata dagli effetti della produzione vinicola e dall’Unesco, che necessitano di interventi diversi. Ha rilevato come Asti abbia perso il suo contatto con il territorio provinciale e come  debba invece di nuovo diventare capoluogo baricentro.
Problemi molto urgenti sono le ferrovie secondarie che vanno riattivate e in particolare il collegamento veloce Asti-Chivasso, che sarà snodo dell’alta velocità in direzione Milano, le connessioni telematiche con la fibra ottica da estendere, riconoscere il servizio idrico come fondamentale.
Il presidente considera strategica la collocazione geografica dell’Astigiano e ha richiesto alla Fondazione CRA e alla Banca CRA, sull’esempio degli enti omologhi di Cuneo un patto di collaborazione per il piano di sviluppo strategico decennale. (vd. www.fondazionecrc.it/pianosviluppostrategicoCuneo2029).

Gianluca Forno, sindaco di Baldichieri e vicepresidente Anci in rappresentanza dei piccoli comuni, ha sottolineato come l’Anci ha più volte richiamato nei suoi documenti (vd. “Agenda Controesodo”, “Documento dei piccoli Comuni”) come la periferia debba diventare più centrale, perché oggi è colpita da uno spopolamento che sfiora il 50% e deve invece tornare attrattiva. La pandemia pone altri limiti allo sviluppo delle aree interne e dei piccoli paesi, soprattutto di quelli che non hanno collegamenti telematici  efficienti e che vengono privati di servizi come lo sportello bancario e le Poste. E nell’erogazione dei servizi sul territorio è importantissimo il ruolo della Provincia come ente intermedio tra piccoli comuni e Regione.
In alcune zone c’è una ricchezza del territorio da sfruttare e in altre è necessaria una nuova politica di industrializzazione e di infrastrutture, mentre gli apparati burocratici non sono spesso adeguati alle necessità di organizzazione e di spesa. Sarebbe fondamentale avere un piano regolatore provinciale per riequilibrare le diverse aree territoriali.
Forno ha anche chiesto che le risorse straordinarie vengano impiegate sul territorio con la partecipazione dei sindaci alle scelte degli interventi da fare. Ha quindi concluso rilevando un allontanamento dei giovani dalla politica e quindi diventa difficile il reclutamento di nuovi amministratori e ha posto il problema dell’esiguo compenso dei sindaci dei piccoli comuni.

Marco Lovisolo, assessore del Comune di Nizza Monf.to e della Giunta provinciale, è intervenuto per porre la questione dell’Ospedale della Valle Belbo, ancora oggi non risolta con una decisione definitiva della Regione, della mancanza della fibra ottica e di altri servizi essenziali per gli abitanti, situazioni che mettono in crisi gli stessi risultati ottenuti con lo sviluppo del turismo del sito Unesco.

Il prof. Vincenzo Gerbi, presidente della conferenza d’Ambito 5 ha illustrato la situazione del servizio idrico, che coinvolge 153 comuni di tre province Asti, Alessandria e Torino con una popolazione complessiva di 210.000 abitanti su una superficie di 2033 kmq. Sono quattro i consorzi gestori e un comune rimasto autonomo e le tariffe sono differenziate a seconda dei consorzi. Gli acquedotti hanno una scarsa redditività e i tubi di proprietà pubblica sono vecchi e soggetti a rotture.

Si sono comunque fatti investimenti importanti e ora l’acquedotto di Cantarana fornisce   acqua al basso Astigiano, ma è evidente che serve una razionalizzazione giungendo a un unico gestore entro il 2030 e le prospettive possono essere interessanti. Uno degli attuali gestori è l’Asp, che ha una componente privata, mentre gli altri tre sono consorzi di comuni, quindi la decisione deve sciogliere i nodi del rapporto  tra pubblico e privato. Gerbi ha auspicato una progettualità dei sindaci sugli investimenti futuri per mantenere la gestione pubblica delle fonti e della distribuzione, trattando anche con le banche. In mancanza di decisioni tempestive, il servizio potrebbe essere privatizzato con un gestore esterno al territorio.

 

 


TERZO INCONTRO, 18 ottobre 2010
Paesi tuoi. La comunità contadina"

S. Stefano Belbo

L’incontro è stato aperto da Betti Zambruno trio con la canzone Un paese ci vuole tratto da un brano de La luna e i falò di Cesare Pavese. Brano che è stato letto dall’attore Aldo Delaude dopo aver ricevuto il Premio Davide Lajolo – Il ramarro.

Il tema dell’incontro, la comunità contadina, è stato introdotto da Laurana Lajolo che ha sottolineato la profonda trasformazione avvenuta anche nelle piccole comunità rurali, ma anche come la pandemia richieda una nuova riscoperta della comunità. Il Covid 19 rappresenta inevitabilmente, anche per la lunghezza del contagio, una svolta epocale, impone dei cambiamenti di vita, di luoghi, di sistema di lavoro mettendo in crisi le metropoli e riproponendo la possibile attrattività dei paesi. Per ora ne parlano sociologi e scienziati e la consapevolezza non è ancora generalizzata, ma quelle valutazione indicano una linea di tendenza, che, per essere attuata, richiede investimenti pubblici e privati e un’efficiente rete di servizi. D’altro canto la modernizzazione ha cambiato nel tempo la comunità contadina e le tecniche di coltivazione e di produzione e anche in campagna è finito il rassicurante tempo ciclico e si è affermata l’insicurezza della frammentarietà del tempo presente.

Il sociologo Renato Grimaldi, docente di Metodologia e tecnica della ricerca sociale e direttore della Scuola di Scienze Umanistiche Dipartimento di Filosofia e Scienza dell’Educazione dell’Università di Torino, è autore, tra l’altro, di Comunità si collina: un sistema di sistemi (2017) , in cui ha presentato il suo studio su Cossano Belbo. Ha considerato il suo paese natale come paese laboratorio applicando alla ricerca l’approccio metodologico proposto dal sociologo Luciano Gallino. Ha cioè studiato la comunità come un sistema di sistemi, interpretati secondo un modello evoluzionistico, esplorando in concreto il concetto di cultura, intesa come insieme di istruzioni e programmi di comportamento, elaborati nel corso dell’interazione uomo/uomo e uomo/natura. La cultura della comunità, di cui fanno parte anche edifici e supporti materiali di vario genere storicamente stratificati viene memorizzata al sistema psichico degli individui della popolazione stabilendo l’identità della comunità e permettendo la trasmissione di conoscenza da una generazione all’altra. Ogni paese  può essere studiato come un meta-paese, un contenitore di piccole storie e di grande storia.
Riferendosi a Pavese e alla sua descrizione delle influenze della luna sul mondo contadino, Renato Grimaldi ha ammesso che la scienza non ha avallato le credenze contadine che hanno dominato nascite e raccolto, ma in Pavese il “farsi terra” è una metafora ciclica. Del mondo contadino andrebbe salvata la biodiversità genetica e la capacità creativa del saper fare.

L’antropologo Piercarlo Grimaldi, già Rettore dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo e coordinatore del progetto “I granai della memoria”,  autore tra l’altro di Il calendario rituale contadino (1993)  ha affermato con convinzione dichiarando che il mondo contadino è morto perché si è persa l’oralità contadina cioè la trasmissione di memorie e di saperi. Il gesto e la parola si sono interrotti definitivamente. La digitalizzazione ha cambiato l’espressività.
Ha citato i libri di Nuto Revelli, Il mondo dei vinti e L’anello forte, scritti negli anni Settanta, quando era ancora possibile rilevare con le ricerche antropologiche e le interviste il profondo legame tra narrazione orale e immaginario.
Il vivere la comunità contadina si fondava sulla conoscenza reciproca di tutti i suoi componenti, sul parlare tra loro delle donne nei luoghi di incontro, dal forno al lavatoio, nei campi e dopo la messa.
Ricordando il suo libro Il calendario rituale contadino, ha constatato che nella società metropolitana si è perso completamente il senso sacrale del tempo dell’eterno ritorno e del senso del sacro ne avremmo bisogno anche  oggi.
Ha aggiunto che gli è particolarmente cara la formula “Parlandone da vivo” che si usava per ricordare pregi e difetti dei morti e che ha usato come titolo per un altro suo libro: i morti facevano ancora parte della vita dei vivi e se ne parlava nel bene e nel male.
Ha quindi annotato che Pavese, pur conoscendo la parola comunità, non l’ha mai usata nei suoi romanzi, ha preferito la parola “paese”, parola che meglio rende la complessità della società contadina.
Infine, riprendendo un altro suo libro Parlandone da vivo (2007) ha sottolineato che le tradizioni e i saperi orali e gestuali rappresentano un insostituibile patrimonio materiale e immateriale, che costituisce non solo la società del passato, ma , nel lungo periodo, anche del futuro. Eppure gli studi sulla tradizione incontrano molte difficoltà dalle istituzioni politiche e economiche, che non ne comprendono l’importanza strategica. Anzi è diffusa la convinzione che con la globalizzazione e la crescita tecnologica anche nei mezzi di comunicazione che la tradizione sia un ostacolo allo sviluppo. E invece se il passato continuasse ad essere conservato, trasmesso e rappresentato potrebbe diventare una concreta soluzione alla crisi del modello di sviluppo contemporaneo.

Lo studioso pavesiano Franco Vaccaneo  ha ricordato i suoi colloqui formativi di adolescente con Davide Lajolo, autore de Il vizio assurdo. Storia di Cesare Pavese,  e con Pinolo Scaglione, il Nuto, de La luna e i falò che gli hanno fatto conoscere Pavese scrittore e uomo.
Si è quindi soffermato su S. Stefano come paese mitizzato dell’infanzia da Cesare Pavese, che nella sua scrittura, seguendo Giovan Battista Vico, lo riproduce nel senso del primitivo e interpretando la vita contadina come tragedia e violenza, come fatica e dolore. Pavese, di famiglia piccolo borghese, vive la sua vita in città, nella Torino eroicamente antifascista, e incrocia la Langa con la letteratura anglosassone e agli studi etnografici che pubblica alla Casa editrice Einaudi.
Pavese rappresentò nella sua agonia la  stagione contadina che, da secoli, era stata sostanzialmente identica e decise di andarsene con lei, non potendola più farla rivivere. La sensazione di fine di un mondo che si avverte ne La luna e i falò  non si può disgiungere dalla percezione della morte annunciata del suo autore che registra il lutto per una civiltà rurale sull’orlo del precipizio. Lo scrittore tenta con il suo ultimo romanzo di ricucire lo strappo tra i suoi due mondi: quello cittadino della modernità dove si era formato e dov’era vissuto e quello arcaico dell’infanzia nella campagna abitata dal “dio-caprone”, incarnazione del primitivo che resiste a due passi dalla città.  (vd. F. Vaccaneo “Un paese ci vuole”)

Pier Sergio Bobbio ha presentato il progetto di ricerca “I suoni della campagna – Paesaggi sonori”, curato insieme al sociologo Enrico Ercole dell’Università del Piemonte orientale per Club UNESCO di Asti e di Canelli e del Centro UNESCO di Torino. Nel silenzio del lockdown si sono sentiti di nuovo dei suoni scomparsi nella quotidianità di vita, in cui non si tiene più in nessuna considerazione le diverse caratteristiche del suono. Quindi è venuta l’idea di registrare i suoni della campagna come quelli delle campane ad esempio, anche nei loro cambiamenti rispetto al passato, e ricostruire così un tessuto di conoscenze e di emozioni.

E’ intervenuta anche Betti Zambruno, ricercatrice di canzoni popolari del mondo contadino che ha poi miscelato nel suo repertorio con canzoni di altre parti del mondo. Condividendo l’assunto di Piercarlo Grimaldi che il mondo contadino è finito, ha tenuto a ribadire il grande valore dell’oralità per la trasmissione di conoscenze e di memorie e ha auspicato nuove modalità di ricerca per continuare a dare rilevanza alle fonti orali, raccogliendo le testimonianze della comunità di persone che hanno vissuto le grandi trasformazioni del Novecento. (vd. “Le storie cantate”).

 

 

Quarto incontro, 24 Ottobre 2020
Agricoltura e cambiamenti climatici

in video-interviste condotte da Beppe Rovera

per osservanza delle prescrizione di sicurezza per contrastare Covid 19.
trasformato in video-interviste condotte da Beppe Rovera
all’Assessore all’Agricoltura della Regione Piemonte Marco Protopapa,
al dr. Alberto Maffiotti direttore ARPA Asti-Alessandria,
 a Lorenzo Giordano presidente della Cantina di Vinchio Vaglio Serra
Le interviste sono state fatte nella Cantina

L’Assessore Marco Protopapa ha dichiarato che i cambiamenti climatici in atto, insieme ai disastri ecologici, possono comportare anche a cambi di produzione.
I processi innovativi in agricoltura sono ancora troppo lenti e alcuni produttori possono anche valutare come positivo l’aumento di  gradazione del vino dovuto all’aumento delle temperature, ma c’è da chiedersi se non dobbiamo invece preoccuparsi in una prospettiva anche a breve termine. Quindi è importante  l’impegno di cambiare la mentalità sulla produzione con un’opera di informazione e formazione, come richiede l’Unione Europea, che nei suoi provvedimenti insiste sull’economia green e sulla biodiversità. Le misure del Piano di sviluppo rurale vanno nel senso dell’agro-ambiente.
 Anche l’innovazione tecnologica deve andare in quella direzione, così come le ricerche. E ha portato l’esempio della lotta biologica alla cimice asiatica con la vespa samurai.
La Regione si adatta alle nuove esigenze e sta cambiando il modo di agire con nuove misure di PSR  a sostegno della consulenza tecnica, dell’informazione e della formazione dei produttori, misure che vanno ancora implementate.
I giovani  vanno aiutati a rimanere sulla proprietà o a scegliere di lavorare nell’agricoltura e devono essere attrezzati ad affrontare i cambiamenti in atto.
Purtroppo le emergenze hanno assorbito molte risorse, sottraendole anche alla progettazione. La Regione ha dovuto intervenire per la distillazione del vino in cantina per contenere gli esuberi creati a seguito della chiusura degli horeca e delle frontiere.
Inoltre il Covid fa slittare il PSR 2021-2026 di almeno due anni, che saranno anni ponte tra il vecchio Piano e quello nuovo, ma la Regione persegue con convinzione e determinazione la linea green e l’implementazione della tecnologia auspicando la messa a disposizione di tutti i comuni della banda larga per consentire lo sviluppo delle comunità e delle imprese economiche del territorio.

Alberto Maffiotti ha sottolineato come sia  reale l’incidenza dei cambiamenti climatici, anche se, a volte, non direttamente percepiti e ha annunciato che l’ARPA Piemonte ha in corso una ricerca sul rapporto tra cambiamenti climatici e epidemia da virus, che è in crescita esponenziale. Ma altrettanto esponenziali sono i cambiamenti climatici. Per reagire alla situazioni pandemiche è necessario cambiare gli stili di vita.
L’ARPA fa rilevazioni dei cambiamenti in atto giorno per giorno per prevedere quello che potrà succedere. Le precipitazioni torrenziali si ripetono e si intensificano, anche perché la nostra area territoriale è influenzata dal mare Ligure, cioè dal Mediterraneo, un mare caldo che scatena  energie di calore, che, a contatto con le correnti fredde, producono piogge devastanti.
Un altro effetto del cambiamento climatico è, al contrario, la siccità che impedisce il regolare sviluppo della vegetazione e incentiva la proliferazione dei parassiti, che sono, a loro volta, trattati con sostanze chimiche che si rivelano nocive per l’uomo e per l’ambiente e danneggiano in particolare la produzione biologica.
La biodiversità è un patrimonio di questo territorio e va tutelata e incrementata.
L’oscillazione tra piovosità e siccità risulta particolarmente dannosa per l’agricoltura e rende difficile la programmazione degli interventi. E’ la fine dell’agricoltura ciclica e siamo invece in un periodo di imprevedibilità.
Gli effetti dei cambiamenti climatici sulla viticoltura sono ormai evidenti, le vigne perdono in produttività e di conseguenze di qualità dei vini. Per esempio nei vini Barolo e Barbaresco si è già rilevato un aumento del grado zuccherino.
I cambiamenti devono essere interiorizzati i produttori devono essere molto consapevoli dei cambiamenti climatici in atto, per i quali sono necessari non solo gli interventi a livello globale, ma previsioni locali per salvaguardare la vulnerabilità del territorio. Siamo entrati in una fase di cambiamenti molto rapidi, anche difficili da accettare. Ma non bisogna illudersi  che la situazione migliorerà se non si fa un’azione territoriale efficace per tamponare i danni dei cambiamenti climatici.
Maffiotti ha infine evidenziato come la coltivazione della vite sia identitaria per il riconoscimento UNESCO e non siano auspicabili cambi di produzione  che modifichino l’assetto del territorio, caratterizzato da piccoli proprietari e piccole cantine.
Maffiotti ha anche raccomandato di provvedere al recupero dell’acqua nel suolo con l’inerbimento, le ombreggiature e che le cantine siano in grado di investire per la conservazione del prodotto
Lorenzo Giordano ha confermato che i cambiamenti sono molto evidenti e che i produttori li avvertono. Oggi i tempi di maturazione sono passati da dieci giorni a cinque giorni e ci sono problemi di raccolto e la Cantina deve riuscire a soddisfare conferimenti concentrati. La vendemmia è ormai anticipata di 20/30mgiorni rispetto al passato.

Negli anni ’70 il vino barbera doveva essere tagliato con i vini meridionali, ora i vigneti di barbera hanno bisogno dell’ombreggiamento, che ripara dal sole e anche dalla grandine. Interventi di questo tipo, che sono già diffusi nelle Langhe dove il reddito è più alto, nel Monferrato hanno bisogno anche di investimenti pubblici.

 

 

Quinto incontro, 11 novembre 2020
“Beni materiali e immateriali: investimenti per lo sviluppo”

Video interviste

All’ultimo incontro del Festival del paesaggio agrario 2020, previsto per il 6 novembre e per le norme Covid trasmesso on line l’11 novembre, sul tema “Beni materiali e immateriali: investimenti per il futuro”, hanno partecipato Mario Sacco presidente della Fondazione CRA,  Giorgio Galvagno, presidente della Banca di Asti, Roberto Cerrato direttore del sito UNESCO, Laurana Lajolo dell’Associazione culturale Davide Lajolo, intervistati da Beppe Rovera.


Molto interessanti sono stati gli interventi di  Mario Sacco presidente della Fondazione CRA e di  Giorgio Galvagno, presidente della Banca di Asti, che, dopo aver illustrato le linee di intervento secondo i compiti istituzionali, hanno dimostrato una convergenza di valutazione sulle esigenze dei piccoli paesi e hanno espresso la volontà di fare sinergia di sistema tra attori pubblici e privati, tra istituzioni, imprese, associazioni per una politica di pianificazione che rafforzi la qualificazione scolastica e universitaria, i servizi, le imprese e l’innovazione con l’attenzione di creare posti di lavoro per i giovani.
Galvagno, a una domanda specifica di Beppe Rovera, ha dichiarato  che quest’anno ci sono  difficoltà normative  per devolvere gli utili della Banca alla Fondazione, ma,  consapevole della gravità del momento e del ruolo della Fondazione sul territorio, mette tutto l’impegno per superare possibili ostacoli.
Sacco ha riconosciuto la funzione importante della Provincia sul territorio e ha dato notizia che, a seguito della richiesta del presidente Lanfranco di sottoscrivere  un patto di collaborazione tra Fondazione e Provincia di Asti per tutto il territorio, ha demandato il compito al comitato scientifico del polo universitario.
Gli organizzatori del Festival del paesaggio agrario Laurana Lajolo, presidente dell’Associazione culturale Davide Lajolo e il direttore del sito UNESCO  Roberto Cerrato hanno sintetizzato i contenuti emersi sulle   condizioni dei piccoli paesi, evidenziando la mancanza di servizi adeguati, ma anche individuando potenzialità e opportunità, che, se sostenute da progetti e investimenti, possono dare impulsi positivi per l’incremento del turismo rurale e attraendo nuovi residenti. La pandemia sta, infatti, modificando condizioni di lavoro e di vita, mettendo in discussione la stessa dimensione della città metropolitana, e possono avere una nuova vita i paesi ritenuti finora marginali e caratterizzati dal decremento demografico e dall’invecchiamento.  Sono, però, necessari interventi strutturali nei piccoli comuni, che compongono la nostra provincia, dall’utilizzo degli immobili vuoti al miglioramento dell’apparato amministrativo alla difesa del piccolo commercio, dal ripristino delle ferrovie locali all’estensione della digitalizzazione, che vanno inseriti in una programmazione territoriale, così come ha sintetizzato in un precedente incontro il presidente della Provincia di Asti Paolo Lanfranco, convinto sostenitore del ripristino delle funzioni delle amministrazioni provinciali .

I responsabili degli enti sono ormai consapevoli che è urgente costruire e dare concretezza a una strategia condivisa e partecipata per tutto il territorio astigiano.

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