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Saggi

Le sculture di Cristiano Piccinelli

01/06/2011

Le sculture di Cristiano Piccinelli

Cristiano Piccinelli Non tutto è possibile, ma ciò che è possibile è possibile…

Cristiano Piccinelli
Non tutto è possibile, ma ciò che è possibile è possibile…

“Sono uno scultore e biologo: da circa dieci anni lavoro l’argilla nel mio studio e come epidemiologo presso un ospedale di Torino, dove mi occupo principalmente di progetti di salute pubblica. Da circa 5 anni la mia ricerca artistica mi ha condotto verso un lavoro seriale che utilizza un modulo ripetuto (una testa di argilla), che in parte si rifà alla composizione chimico-biologica della materia. Parto quindi dalla creazione di piccole teste come unità compositiva di base, per sviluppare composizioni inusuali: nella ripetizione e nella composizione, le testine si animano e diventano le “note” di uno spartito, acquistando significati sempre nuovi. Le teste di argilla, prese una per una, hanno un loro impatto, che si amplifica nel momento in cui vengono messe in relazione tra loro a descrivere semplici forme oppure visioni del mondo in cui vivo.”

“Sbagliando si impara, ma per sbagliare bisogna essere attivi, provare e non restare immobili in attesa dell’occasione, bisogna essere capaci di mettersi in gioco con l’altro, senza troppe aspettative, ma con il semplice gusto del divertimento, nell’ottica dello scambio e della contaminazione. L’uomo è soprattutto un essere relazionale. Solo le

relazioni sociali, che si fondino sul senso del dono e non più del contratto, possono diventare il riferimento per contrastare quell’anonimato che tanto ci spaventa. Essere liberi non vuol dire essere da soli nel mondo, bensì riporre la propria fiducia in molte cose e persone. A volte mi rendo conto di essere all’erta, con la paura che la persona che ho davanti possa in qualche modo nuocermi, togliermi qualcosa. Il contatto (stato che accomuna tutta la materia) è ciò che può davvero aiutarmi a comprendermi maggiormente e così facendo a vivere più serenamente la mia vita. Ecco forse che si spiegano tutte quelle piccole teste di argilla che mi ostino a fare ed a mettere in contatto tra loro, per

costruire una forma che mi dia quella sensazione di libertà e perdita della coscienza del “me” che tanto adoro nel mio lavoro di scultore.”


 

LE TESTINE DEL PICCINELLI
di Paolo D’Elia.

" Il nostro rapporto col mondo, prima ancora di essere un rapporto con le cose, è un rapporto con l'Altro. E' un rapporto prioritario che la tradizione metafisica occidentale ha occultato, cercando di assorbire e identificare l'altro a sé, spogliandolo della sua alterità” (E. Lèvinas)

“Ora come mai il corpo è nudo: è oggetto di banalizzazione consumistica e su di esso si possono costruire infiniti personaggi. Per questo il corpo, nella sua essenza più pura, depurato di tutto e spogliato dalla quotidianità, si sposa con l’essenza pura dell’arte e della bellezza e può offrire uno spettacolo immenso di emozioni.
Il corpo viene svelato, viene studiato, viene scoperto, viene immaginato e viene ricostruito dall’artista, nella sua fisionomia e nella sua fisiologia, nei sentimenti che incarna, nelle sofferenze e nelle gioie.
Che dire dunque delle testine del Piccinelli, in cui il corpo è addirittura “negato”?
In esse il corpo è in realtà il grande ASSENTE, un mancante che lascia il posto a teste vuote e a volti (quasi) tutti uguali. Torneremo sul volto quale cifra del lavoro del Piccinelli. Per ora ci interessa sottolineare come queste testine paiano proprio come alberi senza radici, come altezze senza profondità, come fenomeni senza noumeno. Del corpo umano non resta appunto che la testa: una testa senza corpo appunto… ma questa assenza non diventa in tal modo una presenza ancora più inquietante? Che fine ha fatto il corpo? - si chiede l’osservatore- perché è cancellato, negato…?
Potremmo allora arrivare forse a comprendere la denuncia compresa nell’opera del Piccinelli, che svela quanto l’immaginario post-moderno, tutto proteso a fare del corpo una merce (il corpo cosmetico, il corpo di moda, il corpo telegenico, il corpo pornografico…), sia invece un immaginario povero, mancante, in cui non è dato sperimentare la vera corporeità. E questo perché il corpo è anche natura, sentire (da sui sofferenza), morte. Ma la morte non ha cittadinanza in un postmoderno dominato dalla razionalità tecnica e strumentale, frutto di teste pensanti appunto definitivamente “staccate” e “separate” dal resto…. E potremmo continuare in questa direzione, per meglio esplicitare come l’ASSENZA del corpo nelle teste del Piccinelli sia in realtà un richiamo, un rimando, un’evocazione, un fantasma di una PRESENZA che non può essere negata, pena la disumanizzazione e l’alienazione in un cerebrale, in un pensante, in un razionale dis-incarnato e proprio per questo eternamente morto.

Tuttavia ci sono almeno altri tre elementi che vogliamo evidenziare: le teste del Piccinelli a volte sono “tagliate”; le teste del Piccinelli hanno un volto, portano i segni distintivi della faccia umana; le teste del Piccinelli si ripetono tutte uguali, si ri-producono meccanicamente e si uniscono a formare nuovi disegni e nuove rappresentazioni. Il “taglio” delle teste non è forse ancora il segno-denuncia della “lobotomia” a cui siamo sottoposti? Quel taglio resta tuttavia anche una apertura, una entrata (o una uscita)… Anche in questo caso l’osservatore non può fare a meno di porsi delle domande (inverando la funzione fondamentalmente dialogica dell’arte nei confronti dei suoi fruitori): cosa entra nelle nostre teste oggi? Cosa ne esce? Quel vuoto (anche in questo caso) è un vacuus oppure rimanda ad un pieno di cui ognuno in prima persona deve assumersi la responsabilità?

Veniamo ora ai volti. Non è possibile non ritrovare in essi un richiamo a quella filosofia del Lèvinas che ha riportato prepotentemente al centro della riflessione moderna le domande su Dio, l’etica e sulla responsabilità nelle relazioni umane.
Prima di ogni avventura speculativa, è nell'incontro con l'altro che si fa strada l'idea dell'infinito.
Evento a cui Lévinas dà il nome di visage, volto. Il volto è il presupposto di tutte le relazioni umane.
L'altro non è un dato che viene afferrato quasi mettessimo le mani su di lui. Esso mi coinvolge, mi pone in questione, mi rende immediatamente responsabile. La responsabilità nei confronti dell'Altro viene a configurarsi, nel pensiero di Lévinas, come la struttura originaria del soggetto. Fin dall'inizio, " l'estraneo che non ho né concepito, né partorito, l' ho già in braccio ". La mia responsabilità nei confronti dell'altro arriva fino al punto che io mi debba sentire responsabile anche della responsabilità degli altri.

Le testine del Piccinelli, dunque, proprio mentre richiamano questa alterità radicale insita nel volto, sembrano al tempo stesso negarla, nel loro riprodursi identicamente all’infinito. Anche qui, dunque, il volto pare essere ridotto a merce ri-producibile, ad oggetto di consumo sempre uguale a se stesso. Se non che è proprio dall’unione di questi volti in progetti nuovi ed in rappresentazioni inusuali (il condominio, il pallottoliere, la fila….) che essi riacquistano vita e individualità.

Le testine, tagliate o no, e i volti che richiamano, diventano oggetti per rappresentazioni che hanno il sapore del gioco e dell’ironia, riacquistando, nella magìa dell’artista, vita e significato. Esse, messe in relazione le une con le altre, in composizioni inaspettate e sorprendenti, si ri-animano acquistando un nuovo corpo e nuovo movimento. La magìa sta proprio nell’ossimoro che si crea fra ripetizione e creazione.
La ripetizione, ad un primo impatto angosciante e claustrofobica, si ànima e le testine diventano come le note sempre uguali di uno spartito che nella composizione sapiente dell’artista si fanno armonia e acquistano significati sempre nuovi.
Resta la sorpresa di tante teste e di tanti volti tutti uguali, senza corpo, congelati a prima vista in un
immaginario meccanico e intellettualistico, che vengono sottratte alla disincarnazione, alla monotonìa e all’alienazione per essere restituite ad una rinnovata vita di relazione, con se stesse e con l’osservatore.”

Paolo D’Elia
15 ottobre 2005

 

Per il salone del libro…

“…A questo proposito trovo interessante riportare il percorso realizzato con il mio progetto “Abbandono”. Abbandonare/donare un’opera d’arte è un po’ anacronistico come gesto, tanto più in un’epoca in cui l’oggetto artistico sembra aver perso in parte la sua ragion d’essere. Tramite il progetto “Abbandono” ho iniziato a sperimentare le possibilità che le mie testine, come oggetti, aprono in termini di partecipazione artistica ed a soffermarmi in particolare sulla ricerca del “Senso del dono” quale imput fondamentale per la costruzione di relazioni sociali (Mauss, 1950). Le testine non hanno infatti il solo pregio di relazionarsi tra loro: esse rendono possibile l’instaurarsi di nuove relazioni tra individui, spalancando inaspettati orizzonti creativi.

Nel progetto abbandono le teste di argilla nella città, affinchè il passante abbia la possibilità di raccoglierle per poi ricollocarle a suo piacimento all’interno di un’installazione. In questo modo il pubblico si trova a riflettere sullo spazio urbano e le sue relazioni attraverso il gioco della composizione: l’obiettivo è quello di creare un’interferenza reciproca tra l’artista e il pubblico, dando luogo ad una nuova relazione artistica.

Non si tratta quindi solamente di un lavoro partecipativo (nel senso che si lavora insieme per costruire un oggetto), ma di un processo in cui l’artista decide di affidare le proprie opere al reale gesto creativo dell’altro, e non più solo al giudizio del pubblico. La distanza tra artista e pubblico si assottiglia sempre più, in una nuova ottica di “affidamento”: l’opera diventa imprevedibile e l’artista, affidandosi ciecamente all’altro, ne perde definitivamente il controllo.”

>> Vedi la gallery delle sculture esposte a "Ulisse sulle colline" 2011